Affidi i tuoi soldi a una società di gestione? Ecco i rischi che corri e cosa fanno davvero

Quando un risparmiatore decide di affidare i propri soldi a una società di gestione patrimoniale, si affida a professionisti che dovrebbero amministrare il capitale secondo determinate strategie di investimento concordate, nella speranza di ottenere rendimenti superiori rispetto a una gestione individuale. Tuttavia, questa scelta comporta una serie di rischi e criticità che è fondamentale conoscere a fondo prima di firmare qualsiasi delega.

I principali rischi nell’affidare il capitale a una società di gestione

Il primo e più evidente rischio è la limitata trasparenza sulle effettive operazioni condotte dal gestore. Spesso il cliente non ha la possibilità di seguire in tempo reale i singoli movimenti e scelte, trovandosi di fatto a dover confidare ciecamente nella correttezza o nella competenza del gestore. La comunicazione periodica sui risultati non sempre chiarisce la reale struttura del portafoglio o le ragioni delle scelte compiute, generando incertezza sulle strategie effettivamente applicate e sulla reale esposizione ai diversi mercati o strumenti finanziari.

Altro aspetto cruciale riguarda il potenziale conflitto di interessi. Le società di gestione, soprattutto quelle legate a grandi gruppi bancari, hanno spesso l’obiettivo di collocare prodotti finanziari “di casa”, ovvero strumenti gestiti dalla stessa istituzione o da società collegate, perché più remunerativi in termini di commissioni interne. Questo può portare a decisioni non sempre ottimali per il cliente, privilegiando prodotti a più alta marginalità invece delle migliori opportunità disponibili sul mercato aperto.

Non va dimenticato il costo elevato del servizio. Oltre a commissioni di gestione e di performance, spesso sono presenti altre spese accessorie che possono erodere in modo sensibile il rendimento netto ottenuto dal cliente. In aggiunta, la fiscalità sulla performance può risultare svantaggiosa, soprattutto in caso di andamenti positivi: le plusvalenze vengono tassate anche se reinvestite, riducendo il profitto effettivo.

Un ulteriore rischio è rappresentato dalla difficoltà di liquidazione degli investimenti. Non sempre è possibile uscire dagli investimenti in modo rapido; a volte il processo di liquidazione richiede diverse settimane, rallentando la disponibilità del capitale e rendendo difficile approfittare tempestivamente di nuove opportunità.

Cosa fa davvero una società di gestione

Una società di gestione patrimoniale opera su mandato del cliente, ovvero applica le strategie concordate nella delega, scegliendo autonomamente su quali prodotti investire il denaro affidatole. Generalmente, le attività principali di queste società includono:

  • Analisi dei profili di rischio dei clienti, avvalendosi spesso di questionari standardizzati per valutare la propensione al rischio e gli obiettivi finanziari.
  • Costruzione e monitoraggio del portafoglio, basato su strumenti come azioni, obbligazioni, fondi comuni, ETF.
  • Effettuazione di movimenti di acquisto, vendita e ribilanciamento in base agli scenari di mercato e agli obiettivi predefiniti.
  • Produzione di report periodici per informare il cliente sull’andamento e la composizione del portafoglio.
  • Spesso queste aziende si avvalgono di algoritmi o modelli quantitativi per ottimizzare le scelte d’investimento. Tuttavia, la componente decisionale umana resta centrale nella selezione di molti strumenti, nella reazione alle dinamiche di mercato improvvise, e soprattutto nella gestione delle crisi finanziarie.

    Va sottolineato come le logiche di budget interne delle società di gestione influiscano non poco sulle scelte operative: nei fatti, la preferenza di collocare determinati prodotti può avere la meglio sulla pura ricerca della migliore performance per il cliente. Questo accentua la necessità di vigilanza e di conoscenza da parte dell’investitore.

    Cosa valuta un investitore consapevole

    Un investitore preparato non si limita a firmare la delega, ma cerca di valutare con attenzione diversi aspetti, tra cui:

  • La reputazione della società di gestione e la presenza di eventuali sanzioni o segnalazioni passate presso le autorità di vigilanza.
  • La struttura dei costi nei diversi scenari di rendimento e in presenza di perdite, oltre a ogni clausola legata alle commissioni di performance.
  • Il grado di trasparenza nelle comunicazioni e la possibilità di dialogo diretto con il gestore o la struttura di supporto clienti.
  • La politica di scelta dei prodotti in portafoglio: è focalizzata su prodotti proprietari o aperta al meglio dei mercati internazionali, compresi strumenti terzi?
  • Un aspetto ancora poco noto riguarda la posizione del cliente nel caso di problemi della società di gestione: se questa dovesse entrare in crisi o addirittura fallire, nella maggioranza dei casi i soldi sono custoditi con un regime di separazione patrimoniale rispetto al patrimonio della società; tuttavia, è sempre imperativo leggere con attenzione le specifiche condizioni contrattuali per evitare sorprese spiacevoli.

    Alternative e approcci per minimizzare i rischi

    Per chi desidera affidarsi a terzi senza correre rischi eccessivi, esistono diverse strategie per ridurre le vulnerabilità tipiche della delega incondizionata.

    In primo luogo, è possibile optare per soluzioni che combinano il supporto di esperti con la possibilità di mantenere un controllo diretto sulle operazioni, come le piattaforme di consulenza finanziaria indipendente. Alcune di queste consentono al cliente di ricevere proposte di investimento personalizzate, che poi egli stesso può attuare (o meno), mantenendo quindi sempre il polso sulle scelte e sulla composizione del portafoglio.

    Un’altra opzione è la parziale integrazione di gestione attiva e gestione passiva del capitale: tramite ETF o fondi indicizzati, è possibile destinare una parte del risparmio a strumenti generalmente più trasparenti e meno onerosi, riservando la delega totale a settori o asset class dove la competenza del gestore può davvero fare la differenza.

    Infine, la formazione personale in ambito di investimenti finanziari resta uno degli strumenti più efficaci: anche senza aspirare a diventare gestori in prima persona, una maggiore familiarità con le logiche di rischio/rendimento, con la fiscalità e con la psicologia dei mercati permette quantomeno di valutare meglio i risultati e i comportamenti della società di gestione.

    Il messaggio di fondo è che, mentre delegare la gestione può liberare tempo e ridurre l’emotività nelle scelte, non esenta mai il risparmiatore dalla necessità di informarsi e di fare domande precise. Solo così è possibile trasformare una scelta potenzialmente rischiosa in uno strumento realmente utile per tutelare e far crescere il proprio patrimonio nel tempo.

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